Da Il Sole 24 Ore del 14 febbraio 2023
NODO ATTIVITA’ TIPICHE PER L’EQUO COMPENSO
di Angelo Deiana e Riccardo Alemanno
Siamo in un momento topico in tema di equo compenso. Il Ddl è stato approvato dalla Camera e ora è al vaglio del Senato anche se, pur con profili profondamente diversi, esiste un’ampia convergenza di professioni ordinistiche e associative per apportare modifiche al testo.
In particolare, per le professioni di cui alla legge 4/2013, non vogliamo discutere le buone intenzioni, ma una volta accolto il principio del diritto all’equo compenso, la prima cosa che dobbiamo capire è perché, nel sistema aperto che caratterizza tali professioni, tale diritto sia indispensabile solo per i professionisti e non anche per le altre categorie di soggetti/imprese che erogano servizi ai grandi contraenti.
Detto questo, non vogliamo discutere sul principio ma fare riflessioni concrete sulle possibili modifiche da apportare al testo per migliorarlo.
Partendo da una prima distinzione: al di là della differenza tra professioni ordinistiche e professioni associative, una prima verifica strategica della concreta applicabilità dell’attuale formulazione dell’equo compenso nasce dalla differenziazione tra attività professionali «riservate» e attività professionali cosiddette «tipiche».
Le attività tipiche sono quelle che, pur connesse a professioni regolamentate, sono comunque libere (come tante volte ribadito dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione) e, dunque, esercitabili anche a chi non è iscritto a Ordini e Collegi perché, se non si tratta di attività riservate, vige il principio costituzionalmente protetto della libertà di lavoro autonomo e della libertà d’impresa.
Di conseguenza, con riferimento a tali attività, come si comporta il potere sanzionatorio previsto dal Ddl in capo agli Ordini? Pensiamo, ad esempio, alla consulenza legale o alla consulenza tributaria: nel sistema attuale, il professionista o il fornitore di servizi di tali attività sono pienamente liberi di scegliere il proprio posizionamento strategico in termini di valore e relativo costo della prestazione.
Sarà ancora vero dopo l’approvazione della legge? E, dunque il potere sanzionatorio previsto dal Ddl per Ordini e Collegi si eserciterà solo sugli iscritti? Oppure la possibilità di adire all’autorità giudiziaria si estenderà anche ai non iscritti che esercitano un’attività tipica? Domandiamo perché per noi è un’ipotesi semplicemente incommentabile che siano gli Ordini a controllare le professioni della legge 4/2013, ovunque e soprattutto in tema di attività libere come quelle tipiche.
E, sempre sulla base di questo ragionamento: per quale ragione l’Osservatorio nazionale, di cui all’articolo 10 del Ddl, è istituito presso il ministero della Giustizia quando le professioni associative della legge 4 fanno riferimento al ministero delle Imprese e del made in Italy? Stanti le profonde differenze di regolazione, si potrebbero fare due osservatori differenti, ognuno presso il ministero competente. A meno che non ci sia qualche altro motivo (sempre per le attività tipiche?) per cui tutto va tenuto tutto sotto il controllo del ministero della Giustizia, come evocato dal vice ministro Sisto proprio qualche giorno fa.
Bisogna fare chiarezza. Per questo chiediamo a tutte le forze politiche che tali quesiti abbiano una risposta attraverso emendamenti migliorativi nel percorso del testo al Senato. Anche perché sarebbe importante essere uniti in quello sforzo di coesione tra mondi professionali (e non solo) che porti al rilancio strutturale della Nazione di cui parla sempre il Presidente del consiglio, Giorgia Meloni.
Che, non dimentichiamolo, è anche la prima firmataria del Ddl sull’equo compenso.
Gli autori sono rispettivamente presidente e vicepresidente di CONFASSOCIAZIONI